Paneoro Jewelry:
la materia di cui sono fatti i sogni
Francesca Bellu è Paneoro; Paneoro è frutto della sua creatività che si è nutrita – il verbo non è fortuito, come vedremo – della memoria, delle atmosfere, dei materiali, dei profumi e del folklore della sua terra: la Sardegna. Questa donna aggraziata, minuta ma solida, elegante senza sovrastrutture e soprattutto tenace e fiera, ha radici culturali fortissime e profonde e su queste è attecchita la sua produzione, che fiorisce dall’esigenza e dalla capacità manipolatorie della Bellu che le applica prima alla pittura e al segno e via via rende robuste, dando corpo a sculture da indossare.
Non si tratta di semplici monili ma di oggetti delicati e bellissimi che si portano su polsi e decolletè. Chi li crea e chi li accoglie e li sfoggia si distingue da scelte più commerciali od ordinarie per abbracciare niente di meno che la Storia: quella isolana, dei vestiti tradizionali, dei merletti, dei tappeti, della filigrana leggerissima e pregiata, delle cavalcate, delle spiagge e degli scogli, dei picchi montuosi, delle miniere, del mirto, dei fichi, degli olivastri millenari, dei dolmen, delle cave, dei campi; e del sole e delle spighe dorate che diventeranno grano e poi preziosa farina…: non a caso. Infatti, la materia portante con cui Francesca Bellu realizza i suoi lavori è assolutamente caratteristica e consiste nel… pane. Sì, proprio così.
E’ la mescolanza di farina e acqua – con leganti naturali e proporzioni studiatissimi: la formula è da lei brevettata ad hoc –, resa malleabile e permutabile, come fosse cera, o creta, a diventare base dei suoi gioielli che saranno poi arricchiti di altri elementi e accresciuti da citazioni. I suoi bracciali, pendenti e collier richiamano il sapere arcaico e popolare della sua terra: ad esempio, mimano gli scialli ricamati delle donne sarde e i polsini adornati e i bustini cuciti a mano che ancora si possono vedere orgogliosamente mostrati nelle sfilate e nelle processioni che mescolano sacro e profano nell’intera regione.
Questi suoi capolavori irripetibili fanno parte di un brend titolato Paneoro: nominazione coniata consapevolmente per avvicinare tante evidenze e anime; esse con il pane rappresentano la semplicità e il mito del focolare e, allo stesso tempo, la spiritualità rituale e l’idea della trasformazione, oltre che la durezza (della crosta) e la morbidezza (della mollica); con l’oro raccontano ciò che è inestimabile, è un emblema spagirico – si ribadisce quindi il concetto di trasformazione –, dimora nella terra (lì ha origine il metallo aureo) ma brilla come la luce del giorno.
Paneoro è una linea di gioie come un’esplosione di energia, piacere per gli occhi e lo spirito, dalla fattura singolare: sono realizzate con meticolosità quasi alchemica, con perizia artigianale e conoscenza artistica dalla Bellu, modellate una per una, dipinte – usando giallo d’elicriso, rosso di robbia e altri colori vegetali – e valorizzati per mezzo di una sfarzosa elaborazione che le rende speciali. Incroci di nastri colorati, piccole cesellature floreali, frange, rasi e sete, inserimenti luminescenti e incastonature di perle – ecco il suo immenso mare! – e pietruzze – ecco la sua aspra montagna! –, frammenti in pizzo, fili cromatici e metallescenti non mascherano però il pane, che è materia viva e metafora che sostanzia e potrebbe rendere quasi commestibili tali opere.
Il pane, dunque, che è costituente essenziale della nutrizione primaria e, allo stesso tempo, veicolo di storie e simbologie di intere comunità da secoli, pure connesso ai culti – come il pane cerimoniale, per esempio –, è presente nella vita della Bellu anche attraverso il suo sguardo sull’arte: innanzitutto più strettamente di appartenenza, come può esserlo quella di Maria Lai. Lei, l’artista di Ulassai che usava fili e tramature e voleva “ricucire il mondo”, aveva realizzato molte opere a forma di pani e riteneva che la scultura in toto, anche per il rendimento della creta, avesse a che fare con la pasta-madre. Questo pensiero e la sua concretizzazione è chiaramente parte dei punti di riferimento di Francesca Bellu che li amalgama alla sua maniera: dopo aver decontestualizzato e ricontestualizzato tutte queste congiunzioni, produce la sua serie di Jewelry che si arricchisce sempre di pezzi nuovi, tutti disegnati da lei, seguendo una scelta di autoproduzione pregiata e legata all’ispirazione.
Francesca si apre quindi alla fruizione di quanti apprezzano questo suo operoso procedere, quasi elegiaco perché davvero, se “Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, /di gente che ama gli alberi e riconosce il vento / (…)”*, necessitiamo anche di chi ha una sensibilità di simile specie per fabbricare manufatti immaginifici: non per solo abbellimento, ma per indossare, attraverso tali esclusive sculture portatili, un distillato di innovazione e tradizione, di atavico e assolutamente nuovo. La bellezza è fatta anche di queste dicotomie che, infatti, Paneoro esprime e risolve in forme, quasi regali, di ariosa armonia.
di Barbara Martusciello
* Franco Arminio, in: Geografia commossa dell’Italia interna, 2013